CAPITAN UNCINO

CAPITAN UNCINO

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Un po’ Peter Pan ed un po’ Capitan Uncino. L’immaginario di ogni velista oscilla tra questi due miti. Peter Pan, l’eterno bambino, ed il suo acerrimo nemico, il più spregevole dei pirati, (o il più rude lupo di mare) il Capitan Uncino.
Nel suo vagabondaggio ogni velista, eternamente alla ricerca dell’ “Isola che non c’è” impersona, alternativamente, ambedue questi personaggi, per loro natura agli antipodi ma conniventi. Uno ha bisogno dell’altro.
Favoleggio da sempre d’essere discendente di un Corsaro Dalmata al soldo della Serenissima. Potrei esibire in proposito regolare documentazione (di dubbia attendibilità).
Sicuramente (lo testimonia ora una documentazione clinica ineccepibile) da qualche giorno sono stato promosso a Capitan Uncino.
È la seconda volta che la barca mi fa del male, sempre e solo durante la sua sosta invernale a terra, al sicuro sull’invasatura (sui trampoli, secondo un’espressione da me preferita).
La postura più innaturale cui si possa condannare una barca a vela.
Per questo ho sostenuto… l’altra volta (mandato in neurochirurgia per trauma cranico) e lo confermo ora (spedito in chirurgia plastica per minima amputazione indice mano sinistra), che la barca (femmina vendicativa) deve avermi punito, ancora una volta, per non averla lasciata a dondolare ed a gongolare nel suo elemento più consono.
Per reagire a questa mia paranoia mi sono imposto un pensiero  positivo: finalmente potrò lucrare di una mia vecchia polizza infortuni. Con l’indennizzo che mi spetterà potrò magari cambiare barca.
Sono un inguaribile sognatore sulla generosità delle nostre Compagnie assicuratrici, nonostante una recente disillusione in merito.
Infatti  il mio dito monco vale, monetariamente, molto meno delle spese che dovrò sostenere per l’hivernage della barca in cantiere.
La domanda sorge spontanea: vale troppo poco il mio dito o vale troppo la mia barca?
Una domanda senza risposta, nessuna che io voglia accettare.
Il valore di una barca a vela va ben oltre il suo valore monetario.
Esiste una pervicace sublimazione della nostra insana passione velica. Altrove  ho già disquisito sul valore e sull’investimento simbolico che noi velisti operiamo, inconsapevolmente o meno, del nostro andar per mare.
Un investimento, non solo economico, che non ha misura.
Basterebbe pensare ai pazzi che ora stanno percorrendo l’ Around the word, (la Golden Globe Race Vintage) con barche di cinquant’anni fa, in solitario, senza scalo, senza assistenza e senza l’attrezzatura elettronica attuale. (Attualmente in testa alla “regata” è un mio coetaneo). Questi “pazzi” vorrebbero replicare l’epopea dei Chichester e dei Moitessier,, per intenderci, l’epoca epica, eroica e “romantica” per antonomasia.
Un misto di romanticismo e di follia in cui il sentimento e l’anelito di libertà non ha confini né limiti.
Perché mai anche noi, anziani acciaccati e mutilati, non potremmo emularli con sogni proibiti che non riusciamo a tacitare?

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