Author Archive Marina Cobal

La vela dei disperati

Mi son chiesto spesso se chi va a vela lo faccia per aspirazione o per disperazione.

Questo dubbio amletico tormenta anche il sottoscritto. Prima di partire ogni primavera per il mio semestre sabbatico velico mi chiedo se lo faccio per scelta o per una specie di condanna interiore.

Mi capita anche di ospitare a bordo persone più…disperate di me. Il giovane diciottenne appena diplomato che, volendo sfuggire alla condanna di dover iscriversi all’università e seguire un percorso di vita obbligato, chiede di dedicarsi alla vela come “scelta” di libertà.

Il disoccupato o cassaintegrato che non aspira nemmeno d’essere integrato o reintegrato nel mondo del lavoro e vorrebbe continuare a barcamenarsi con me. Ho avuto anche “allievi” che dopo essere stati con me si sono dedicati quasi a tempo pieno alla vela agonistica.

La persona che ultimamente mi ha più colpito e sorpreso (piacevolmente) è Michele.

Un ingegnere in carriera che è stato folgorato (come SanPaolo sulla via di Damasco) da una conversione alla vita essenziale. Si è licenziato dalla ditta presso cui lavorava, ha venduto casa, auto e tutti i suoi averi. Ha regalato tutti i suoi vestiti alla Caritas ed

è venuto in barca con me  (la sua prima volta in barca a vela) con il chiaro proposito di mollare tutto e partire per il mare infinito.

Nell’introdurlo ai primi rudimenti della vela, l’ho studiato bene durante tutto il mese che è stato con me. Non era un disperato. Anzi, trasudava serenità e rappacificazione con se stesso e gli altri. Gioviale e socievole contagiava chiunque per la sua tranquilla sicurezza e consapevolezza nel voler fuggire dal mondo civile. Senza che fosse una fuga ma una scelta di vita lungamente maturata. Quasi una scelta mistica di pace interiore, che non veniva minimamente scalfita dai nostri tentativi di riportarlo alla ragionevolezza della gente comune.

Ed è partito due anni fa. L’ho rivisto qualche giorno fa nel suo primo fugace rientro in patria. Per entrare nel mondo dei…”disperati” ha seguito il mio consiglio di farsi trovare a fine novembre a Las Palmas De Gran Canaria in occasione dell’annuale partenza dell’ARC ATLANTIC. Trovò infatti lì il suo primo armatore giramondo.

Mi ha fatto un sintetico resoconto della sua vita avventurosa nel mar caraibico e dintorni. Key West, Cuba, Haiti, Jamaica, Colombia, Nicaragua, Panama, Puertorico, Virgin Island, Antille, Martinica, ecc.

Non l’ho rivisto minimamente pentito della sua scelta di vita, anzi confermato e confortato  con ancor maggior tranquillità. Provato ma felice d’aver dovuto superare talora prove estreme, ha mostrato quasi commiserazione nei nostri riguardi perché rimasti a languire nel …mondo civile.

I neofiti velisti

Si lasciano esaltare (ingannare) dai nostri  proclami poetici  del tipo “va dove ti porta il vento”, poi ti chiedono di farsi portare (a motore) nelle baie più deserte ( e magari meno ridossate) per il bagno di rito. All’imperativo assoluto “solo baie , mai porti” saprebbero sacrificare ogni senso della realtà, salvo poi adeguarvisi in extremis con grande frustrazione.

Meno retorica da parte nostra (velisti navigati) forse sarebbe doverosa per facilitare un approccio dei nuovi adepti.

Queste mistiche considerazioni mi son sgorgate dall’ultimo gruppo di “neofiti velisti” che ho avuto a bordo. Naturalmente avevano negato, prima dell’imbarco, che fosse la loro prima volta.

La dura realtà l’han dovuta affrontare già dopo il primo giorno di navigazione: intasamento del cesso. Nonostante le mie istruzioni sul suo corretto utilizzo il danno era irreparabile tanto da doversi smontare e sostituire. Prima giornata di m. Seconda giornata: precipitosa ricerca di un porto dove integrare la cambusa, fatta evidentemente in modo frettoloso. Ed avevano dichiarato  di voler sempre confezionare i pasti a bordo, escludendo il ricorso a ristoranti.

Si evidenziava subito Il conflitto tra le aspirazioni ideali di approdare ogni giorno nella baia perfetta, di voler andare sempre a vela e la necessità di rispettare una tabella di marcia obbligata (naturalmente a motore) per attuare in tempi certi il percorso programmato.

La frustrazione dell’equipaggio si sommava alla mia nel momento in cui mi vedevo costretto a sconfessare i propositi d’inizio stagione: d’imbarcare solo ospiti che avessero con me potuto aspettare il vento se non c’era e di non coartarmi in tempi e rotte obbligate.

“Mai più”. Farò il solitario se non troverò amici che non avranno il mio tempo ed i miei tempi ( e quello del vento).

Arrembaggio in porto

Arrembaggio all’ormeggio e salvataggio miracoloso.

In mare aperto nei nostri mari non esiste il pericolo d’arrembaggio da parte di pirati del mare.

Esiste all’ormeggio. È da due anni che ne sono vittima, peraltro sempre in situazioni di grande tranquillità di vento e di mare.

L’affiancamento in porto da parte di imbarcazioni condotte da improvvisati marinai è il momento più pericoloso. Questi gentiluomini non sono mai pronti ad ammettere il loro errore di manovra né a riconoscerne i danni verso le imbarcazioni tranquillamente ormeggiate, per cui  l’esito assicurativo è molto problematico per chi ha subito danni alla propria imbarcazione.

Ora la stagione è in pieno svolgimento. La partenza quest’anno è stata più contrastata e ritardata del solito. Sembrava che tutto congiurasse per non farmi partire. Problemi della barca, problemi sanitari miei e dei miei famigliari. Alla fine sono partito, un po’ allo sbaraglio.

Certo è che il mio originario semestre sabbatico in vela, ultimamente s’è ristretto ad essere prima un quadrimestre, quest’anno addirittura solo un bimestre.

La mia immagine di grande navigatore ha subito una vistosa smagliatura ed è.. definitivamente compromessa.

Questa “diminutio” è coincisa proprio con un anno di grandi onorificienze (40 anni di navigazione con il guidone della mia Società velica, 50 di Laurea, pubblicazione di un libro con le mie “gesta” marinare).

Quest’anno la navigazione, così com’è iniziata, prosegue all’insegna della massima improvvisazione. Necessariamente limitata al mare sotto casa, alla tanto vituperata ma anche tanto agognata Croazia.

Non mi sembra sia avvenuta la tanto temuta (od  auspicata) diserzione per via dell’imponente tassa d’ingresso introdotta l’anno scorso e quest’anno appena un pò ridimensionata. La Croazia, che faccia piacere o no, continua ad essere la meta usuale di chi tiene la barca in Adriatico, in ambedue i versanti.

Ed è così che anch’io mi son piazzato a metà dell’adriatico orientale (Spalato) per dar modo ad amici e parenti a raggiungermi ed imbarcarsi con me, il più facilmente possibile.

In un’isoletta sperduta con 40 abitanti ed un solo ristorante ci siamo rifugiati quella sera.

Il comandante allarmava l’equipaggio per un suo improvviso grave  malore. Attivata l’ emergenza Sanitaria, questa predisponeva immediatamente la disponibilità di un elicottero per il trasporto del malato da quell’isola al più vicino Ospedale. Quando già l’elicottero stava rullando in aeroporto per la partenza, avvenne qualcosa di miracoloso. I pochi abitanti dell’isola, allertati dal più attivo dei miei membri dell’equipaggio venivano a sapere del grave pericolo che correva un loro ospite appena arrivato in barca.Coralmente si attivavano alla ricerca dell’illustre cardiologo parigino che sapevano soggiornare proprio in quei giorni  come turista nella loro isola.

Me lo portavano  in barca, armato  della sua vistosa e sofisticata attrezzatura, in tempi da record con un loro mezzo di fortuna. Improvvisamente , dopo aver profferito queste parole “non so se arriverò a domattina”, mi vedo piombare in cabina il classico professionista sicuro di sé. “Bonne soir, je suis un cardiologue de Paris. Dite moi comment ca va?” Compreso subito il problema, avvisa di far spegnere i motori dell’elicottero che sapeva essere in partenza. “C’est pas grave” . Risolse il problema in dieci minuti: due spruzzatine sottolinguali di due magici prodotti mi restituì sereno all’equipaggio .

Come unica riconoscenza ha voluto una copia del mio ultimo libro, dichiarandosi pure lui appassionato velista.

Scopersi poi che il mio salvatore era veramente un illustre luminare della materia, direttore di una conosciuta clinica Cardiovascolare dell’Università di Parigi.

Riuscirò mai ad estinguere il mio debito alla dea fortuna?